C’aveva già provato il tedesco nel 2006: tante lacrime, tanti saluti, tanta tristezza per un addio che si sarebbe trasformato, poco dopo, in un arrivederci; perché, in fondo, lui è fatto così, meticoloso, maniacale, amante della perfezione e delle sfide, e quella in Mercedes ha rappresentato una delle sue più grandi battaglie. Certo, i risultati non sono stati gli stessi ottenuti in Benetton prima e in Ferrari dopo,
ma il solo fatto di vederlo in gruppo, di leggere il suo nome tra
quello di ragazzini dalle balle speranze è stato di per sé una sorta di
rassicurazione, di collegamento tra il passato ed il futuro di uno sport che da lunedì sarà un po’ più povero, un po’ più nostalgico, un po’ più triste.
In questi giorni Schumi ha dichiarato: “Il
mio addio alla F1 sarà probabilmente meno emozionante rispetto al 2006,
quando eravamo ancora in lotta per i titolo e tutto era più intenso.
Questa volta potrò prestare molta più attenzione al mio addio e spero
anche di godermelo“. Noi gli crediamo, perché è sempre stato uno di parola, un tedesco di ghiaccio, ma dal cuore latino, che si emoziona, che piange, un po’ più terreno insomma. Vettel e Alonso stiano sereni: la scena sarà tutta per loro; tuttavia, comunque vada, almeno un microfono e l’obbiettivo di una macchinetta fotografica sarà dedicata a lui, al mito
che depone la corona, alla Formula 1 che scende da una monoposto
argentea per salutare. Ciao Schumi, e grazie di tutto; ora, però, non
sparire eh!
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